domenica 5 aprile 2009

Oscar Modificato I.

Prendete quattro amici uniti dalla passione ardente per la musica, aggiungeteci che questi quattro amici sono degli artisti fenomenali capaci di estrarre dai loro semplici strumenti l’essenza stessa di una malattia quasi religiosa come può essere l’affezione verso le sette note, l’armonia e il ritmo.
L’amore per il suonare.

Prendete quattro amici nelle cui vene scorre il sangue elettrico di chi ha visto gli anni dello splendore della musica rock genuina ed impastata di blues, quattro individui che negli anni Sessanta ci hanno davvero creduto nel cambiamento (quaranta anni dopo sono rimasti fedeli alle posizioni degli inizi, a differenza di tutti i figli di papà che hanno fatto la Rivoluzione solo per sentirsi grandi e cazzeggiare un po’ ma divenuti adulti hanno occupato le poltrone dei genitori), gente cresciuta ascoltando il funky dei Meters e il flauto di Roland Kirk, la tromba di Miles e la chitarra di Robert Fripp.
Gente che non crede che la scala pentatonica sia solo una semplice scala musicale ma un ideale di vita, una storia immensa ed affascinante fatta di sofferenze e schiavismo, intolleranza sociale, voglia di riscatto e tanta voglia di diverirsi un po’. Il sesso implicito che si nasconde dietro un bending di settima è universalmente riconosciuto.
Gente che non ha visto nei Rolling Stones solo 5 bei ragazzotti inglesi che facevano casino e sprigionavano sesso ad ogni loro movimento ma degli attivi partecipanti al processo di integrazione fra le razze grazie a quel loro continuo attingere alla black music.
Gente che ha lasciato prendere per mano le proprie coscienze dalla psichedelia dei Jefferson Airplane e dalle poesie del novello Pulitzer Bob Dylan.
Gente che sa che Stop Breaking Down non è soltanto uno dei più grandi pezzi blues della storia, ma è anche il ponte fra Robert Johnson e Keith Richards, fra Martin Luther King e Barak Obama.
Gente che ha seriamente preso sul serio i Beatles fin dal loro primo pezzo nonostante i coretti e l’apparente, bonaria, semplicità.
Questa è gente che per sua stessa ammissione un po’ sognatrice, uomini che quando erano giovani, se ne stavano sotto un albero tutto il pomeriggio a guardare un fiume suonando una vecchia chitarra classica o scrivendo canzoni di speranza, animati seriamente, perchè ci credevano per davvero, dal desiderio di cambiamento.
Uomini semplici e romantici, capaci di innamorarsi sulle note di una canzone.

Gente che aveva finalmente trovato nella musica il linguaggio attraverso cui liberarsi di tutte le sensazioni e le emozioni che non li lasciavano liberi di dormire la notte.
Le emozioni vere e non costruite, sostanziali e non solo iconografiche o vuote, sfuggenti come quelle che siamo abituati a provare in questo XXI secolo.

Li dove non ci arrivava una parola o un gesto, per loro ci poteva arrivare una nota.

Per chi non ha mai suonato in un gruppo musicale queste parole possono suonare leggere e senza senso ma se si ha anche solo una piccola percezione di quello che possa essere sentire il cuore che scoppia nel petto mentre si guarda il proprio bassista muovere il collo avanti e indietro come un gallo in calore soggiogato da una cosa più grande chiamata ritmo, allora si può avere una minima idea di quello di cui sto parlando: l’edonistica sensazione di piacere, di Ben-Essere che serpeggia beffardo fra i nostri pori.
Il silenzio eterno e l’occhiata complice che c’è fra due musicisti quando un pezzo giunge al suo momento estremo; quando hai terminato un assolo incredibile o quando c’è stato uno scambio eccezionale fra la sezione ritmica generalmente in quei momenti si crea come una sospensione o un brivido della durata di un attimo, dove tutti quanti sul palco smettono di toccare gli strumenti e si guardano per una frazione di un eterno secondo, si guardano in faccia come a dirsi: “Cazzo l’abbiamo fatto bene”, quella conferma telepatica che arriva a tutti contemporaneamente e che come unica ripercussione fisica comporta, a parte quel benessere quasi paragonabile ad un post orgasmo, un sorriso ebete stampato sulla faccia.

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