mercoledì 26 gennaio 2011

Il giorno in cui un carioca lavorerà, il Cristo batterá le mani.







Un ragazzo picchiato a sangue vicino gli archi di Santa Teresa, escoriato e pieno di gocce rosse che scolavano dalla larga fronte nera. Barcollava a destra e sinistra, intontito dalle tante botte prese. Un gelataio ubriaco ci raccontò, vicino l´uscio di uno dei tanti bar sporchi e puzzolenti di Rio de Janeiro, che lui ogni mattina si alza alle 6.00 e lavora fino alle 23.00 per mantenere otto figli e venti nipoti. Non mi spiegavo come mai, se questo fosse stato vero, cosa ci facesse li nel quartiere di Lapa, ubriaco fradicio alle 4 del pomeriggio. Non appena gli diciamo l´itinerario del nostro viaggio, si esalta e grida: ¨Il nord è pieno di donne bellissime. Che Dio vi benedica¨. Ancora una volta il sacro e il profano si mischiano in questa terra magica, i sincretismi, le convergenze e la convivenza fra gli opposti, la mancanza di mezze misure, le ragioni e gli istinti indifferentemente e apparentemente seduti su poli contrapposti, in realtà in delicato equilibrio fra loro.

In Brasile sembrano non esserci vie di mezzo. Sono lentissimi al supermercato, gli autisti delle corriere invece sfrecciano per le strade incuranti dei pedoni e della segnaletica. Per strada incontri persone che si prendono cura del proprio corpo in maniera diametralmente opposta. C´è chi beve birra e mangia fagioli, riso e carne a dismisura e chi fa esercizio fisico fino allo sfinimento. Corpi obesi dalle pance infinite, sfericità perfette e fisici scultorei che imbarazzano tutti noi flaccidini. Qui la gente ama prendere la vita con calma, senza fretta, anche se, a Sao Paolo, la gente corre per il centro inseguita dalle proprie frustazioni pseudo alto borghesi di accumulazione del capitale, cercando di crearsi uno status, come in una qualsiasi New York o Milano o capitale europea. Inseguono anche loro le false promesse della rivoluzione industriale e faranno la nostra stessa fine decadente.

Si prega Dio, si venera la figura del Cristo. Allo stesso tempo ci si veste di bianco a capodanno e si lanciano fiori nell´oceano in onore di Iemanjá, divinità del mare. Qui convive la profonda cattolicità di tradizione portoghese, con le cadute in trance delle donne nei terreiros, durante i riti afro-brasiliani del candomblé, possedute da chissà quale spirito. Si ama Gesù, si adora Exù, diavoletto canaglia un pò simile a Pan, un pò fratello di Dioniso, la cui immagine capeggia vicino alla casa del grande Jorge Amado.
Ma una delle cose che affascinano di più è la rappresentazione dei sentimenti di tristezza e nostalgia, inseparabili dall´allegria e la sensualità. La saudade nostalgica, a volte dolorosa, non procura solo tristezza. Anzi si convive con questo sentimento in un clima di piacevole malinconia. La saudade non è infatti accompagnata da musiche tristi ma al contrario, da samba eccezionalmente ritmica dove la gente muove i propri culi senza smettere di sorridere. Senza saudade non esiste samba diceva un vecchio testo.
In Europa la tristezza è un la minore, qui no. Qui sono accordi di settima. Qui si balla fra note progressive ma ripetitive, alte e gustose e parole colme di tristezza. Si piange e si ride con la stessa facilità; sono la stessa cosa, frutto dello stesso neurone. Tutto si mescola, come anche nella gastronomia. Pesce, carne, riso, fagioli e farofa. Tutto si mescola in un meltin pot solo apparentemente sregolato ma che nel complesso è una massa uniforme, un caos con un senso logico.
Portoghesi, africani, giapponesi, italiani, tedeschi, frutta esotica e polenta, fagioli e caffè, pasta e filettoni di carne, farina di mangioca e walzer, jazz, percussioni africane, ritmi assurdi psichedelici e preghiere, non importa a quale dio ci si stia rivolgendo. Dio o Exù, ricchezza sfrenata e povertà assoluta. Ragazzine di sedici anni che vendono i propri corpi per comprare una dose di crack e grandi villoni che si arrampicano su per la vegetazione lussureggiante con piscine jacuzzi all´aperto e saune e docce di eucalipto.
La gente ruba per necessità ma anche il peggior ladro e assassino sembra, in fondo, essere un ingenuotto, un povero relitto che si muove spinto dai morsi della fame. Niente a che vedere con inostri ´ndranghetisti, camorristi e mafiosi, assetati di sangue, potere, politica e denari. C´è chi ruba per spartirsi gli appalti di Expo Milano e chi per una scodella di riso. Chi è peggio?


Un autobus si arrampica lungo i pendii di Niteroi per poi scendere in picchiata sul mare; ci si ferma in una baracca a mangiare pesce fritto accompagnato da una splendida birra gelata. Di fianco, fuori dal finestrino, la solita disposizione irregolare di case senza intonaco, favelas fatiscenti, strade a volte fangose a volte racchiuse dentro folte coltri di nubi di polvere, a seconda se c´è stato o no un acquazzone tropicale. Case costruite apparentemente senza seguire nessun filo logico, fra una palma ed un bambù, su terreni teneri e friabili come marzapane; non si capisce come non crolli tutto giù. E a dire la verità quasi ogni anno, durante la stagione delle forti pioggie estive, interi villaggi vanno giù portandosi dietro vite innocenti. Come venti giorni fa qui vicino a noi, in città come Nuova Friburgo o Teresopolis. Case che si arrampicano sparse ed irregolari fra pendii e colline, che fanno un blocco unico con la natura circostante. Panni stesi sui fili di ferro che uniscono le abitazioni, bimbi scalzi che mi guardano come se fossi un alieno venuto da chissà dove e i soliti sorrisi, quegli enormi e caldi sorrisi sdentati che riempiono il cuore. Dimenticando per un attimo la miseria.

Nel bus di linea che trasporta la gente al mare oppure alle favelas, vige un clima di allegria così intenso, da sembrare quasi una sensazione fisica. C´è chi trasporta grossi pacchi o strumenti musicali mai visti, qualcuno batte il tempo sul finestrino mentre un altro canta con voce profonda e appassionata. Gente vestita umilmente, i soliti grandi sorrisi sdentati. Ragazzine che guardavano incuriosite e maliziose, ma che giravano gli occhi dall´altro lato intimidite dal pudore, non appena le restituivi lo sguardo. Siamo l´attrazione principale del bus, tre ¨gringos¨vestiti alla europea. Io e Lollo non veniamo mai presi per italiani. Ci scambiano per argentini, marocchini, israeliti addirittura! Ma Jenny non può sfuggire agli sguardi incuriositi della gente dalla pelle bellissima, ebano o caffè e latte. Eh no lei è troppo bianca, troppo nord europea, troppo bionda! Però è anche l´unica che parla portoghese. Ci guardiamo intorno e ci guardiamo fra noi. Soddisfatti, felici, con il cuore pieno di gioia.
Ad un certo punto, un odore pungente, inequivocabile, inconfondibile, attraversa tutto il perimetro dell´autobus. Le buche sulla strada facevano ondeggiare il veicolo e i passeggeri come una vecchia zattera su un mare in tempesta, lasciando che l´odore circolasse in maniera ancora più rapida. Uomini e donne cominciarono a tapparsi il naso, la gente copriva con fazzoletti i canali olfattivi dei propri figli. Ormai era chiaro, un passeggero si era cagato sotto! Fu il finimondo, l´Apocalisse, una Babilonia. Tutti, ma proprio tutti i passeggeri cominciarono ad urlare, a ridere, a prendere in giro il malcapitato incontinente. Non potetti non pensare allo stato d´animo di quel poveretto. Un intero autobus più di cinquanta persone stipate lungo tutti i centimetri del mezzo, che gridavano come forsennati: ¨Ah ah ah, se cagou, se cagou!!¨ (Si è cagato, si è cagato!). Fu una scena dantesca, la gente si alzava dai sedili cercando di allontanarsi il più possibile da quell´odore insopportabile, così che, coloro che ancora non avevano capito chi fosse stato il responsabile, non tardarono molto tempo nel rendersene conto, cominciando anche loro a prendere in giro l´uomo dallo sfintere aperto. Il controllore si alzò dalla sua postazione, noncurante del fatto che si trovasse al lavoro e partecipò alla baldoria. Era il più scatenato della folla, gridava, non tratteneva le risate, il braccio sinistro proteso verso il cagone, mentre con la mano destra impugnava un profumo che spruzzava abbondantemente cercando invano di coprire la puzza di merda. Quando l´uomo dall´intestino rilassato scese finalmente dal bus, il controllore si affacciò dal finestrino e continuò a canzonarlo, gridando e ridendo come un matto. Il tipo alzò il braccio rugoso in tono di stizza e disappunto e mandò a cagare (non riesco a trovare parole più appropriate!) tutta la gente che lo stava deridendo e si incamminò lungo una strada in salita, sterrata e buia, che saliva come un serpente fra le favelas. La gente del posto, si inginocchiava lungo i tombini dai quali fuoriuscivano cavi elettrici, rubando la luce per illuminare la favela a chi la luce può pagarla.
Penso a città come Milano, Sao Paolo, Eindhoven. Penso a gente che corre, forsennata, in giacca e cravatta, valigie 24h alla mano, inseguendo i propri business. Penso agli autobus intrappolati nel traffico, penso alla cacofonica orchestra di clacson, penso alla rabbia con cui gli automobilisti passano dalla prima alla seconda per poi scalare marcia pochi metri dopo, prima di restare intrappolati altri venti minuti. Penso alle illogiche rincorse al denaro, il benessere economico schiavizzante che non c´entra nulla con il ben-Essere. Poi penso ai supermercati di Rio de Janeiro, dove puoi aspettare fino a venti minuti prima che il commesso ti attenda, anche se davanti a te c´è solo una cliente con tre prodotti. Penso poi agli spazzini che ballano la samba lungo le strade, rastrello alla mano e immancabile sorriso. Penso alla calma olimpica dei bahiani, che si mettono in fila agli sportelli del bancomat nonostante quello di fianco sia libero. Penso al guardiano notturno di una pousada di Porto Seguro che non va a lavorare per due giorni perchè qualcuno ha rubato (o lei ha perso) il cellulare della figlia!?!?! Ma che scusa è?? Oppure ad un altro personaggio di Salvador, con un principio di delirium tremens da cachaça, che incontrammo in un bar di un suburbio di Porto Seguro dove io e Lollo ci intrufolammo per cercare un contatto con il Brasile più ¨vero¨, che vende aragoste sul Paseo del Alcool in pieno centro, che quel giorno non era andato a lavorare perchè gli era morta la vicina.
Fantastico.
Qui la gente, quando è sovrappensiero o giace nell´ozio più improduttivo, dice che sta pensando alla vita. Questa per me è la fantastica rappresentazione di un metaforico calcio nel culo alla presunta infallibilità della millantata Ragione europea. La Ragione è illogica e chi ne è dotato arriva inequivocabilmente all´infelicità. Chi, dotato di un minimo di onestà intellettuale, non cova dentro di se i germi della depressione? Dello smarrimento? Del vuoto, dell´inspiegabile agli occhi della Ragione stessa? Qui si vive con più istinto, forse più supericialità, ma che importa? Superficiale rispetto a cosa? Che vuol dire? Qui il corpo è un tempio che si cura e rispetta, qui non c´è tempo per essere musoni. La differenza fra me e loro è che mentre io mi infogno fra i vicoli stretti e angusti di un esistenzialismo sartreiano, loro muovono i propri culi come se fossero indipendenti dal resto del corpo, prendono le loro bellissime donne dai petti sudaticci e che riflettono le luci del bar in cui risuona una samba, uno chorinho, una lambada e le fanno volteggiare nell´aria in un vortice infinito di note, piroette, glutei di acciaio che romperebbero noci di cocco e sorrisi. Mentre io non posso fare altro che guardare immobile, perchè se provassi ad accennare due passi, farei la figura dell´impedito che balla con un tronco infilato su per il culo. Quella che erroneamente e riduttivamente chiamiamo superficialità, è invece la splendida e vittoriosa supremazia dell´istinto vitale, della goduria dei sensi, sui trascurabili e spesso inutili dolori dell´anima europea. Qui il corpo e di conseguenza la mente, si uniscono alla natura, ne fanno parte, si confondono in un idillio di note e profumi.
Noi invece in Europa ci richiudiamo in casermoni di cemento a produrre per poter consumare, in una spirale infinita e pericolosa, che ci fa credere di vivere veramente.