martedì 26 maggio 2009

Yellow Daisies.





Il superomismo fu mal interpretato e abbiam visto come è finita.
Dove ci porterà lo psiconanismo consapevole?

venerdì 22 maggio 2009

Quando sembrava che ormai fossero morti e tutti li davano per finiti, per spacciati, gli Stones tirarono fuori "Honky Tonk Woman".


Il rockabilly lo ascolti e sorseggi un mojito, il blues lo fai tuo stringendo fra le mani un whiskey robusto.
Gli spettacoli che una mia collega fa in una discoteca dopo il lavoro in aereoporto, chissà di cosa si tratta realmente.
Il lolitismo innocente e un gruppo di blues argentino, il cui cantante, genio incompreso, è un alcolizzato e durante i concerti ha l'abitudine di scagliare il suo cappello contro la pianista.
Un sindacalista corrotto che per ottenere una sistemazione fra i quadri dirigenziali, manda alla merda un intero reparto di gente che lavora sodo, fottendosene di 80 destini e famiglie.
La Spagna e il suo popolo fatto di simpatici pettegoloni, tutti pronti a scattare contemporaneamente verso il posto in cui è appena scoppiata una rissa, solo per il gusto di vedere quello che succede e poi raccontarlo agli amici.
Un sosia di Morrisey che vola a Liverpool.
Una rissa nel supermecato per difendere i diritti di un barbone quando in realtà era una scusa per scaricare i propri nervi, oramai tesissimi. Lo stesso vagabondo che un attimo dopo si sistemò sulla panchina che s'affacciava sulla rambla per godersi il suo J&B.
Le amicizie superficiali e quelle profonde che sopperiscono al bisogno d'amore.
Le inglesi porche e ubriache, che camminano scalze, con i piedi neri d'asfalto e polvere e le pietroline di brecciolina attaccate alle piante.
Soundtrack a tutto ciò: "A taste of Honey"(versioni dei Beatles, Rai Davis, Paul Desmond, Julie London), la canzone totale che nei suoi due minuti racchiude anima pop e improvvisazione jazz dilatata all'infinito.

Quando ci si sveglia dopo aver sognato, l'espressione di chi ha appena aperto gli occhi ma anche lo sguardo di chi è tornato da qualche parte.

-"Ferma lì! Resta ferma lì e non uscire dal bagno!"

-"Ma che succede, che succede? Aiuto! Diamine voglio uscire da qui!"

-Cristo, ti ho detto di non muoverti!"

La paura la prese. Era chiusa in quel bagno claustrofobico e l'unica cosa che riusciva a sentire erano le urla fuori. Urla strane, a metà fra il dolore la paura e il raccapriccio.
Brandelli di cervello giacevano al suolo fra sangue e piscio e mozzoni di sigarette. Il locale diventava sempre più simile ad un manicomio, il caos era totale, il panico all'estremo.
Lei era sempre chiusa senza capire cosa stesse succedendo.
Un attimo prima quel ragazzo si stava allegramente ubriacando con i suoi amici al piano superiore e un minuto dopo la sua materia grigia si mescolava alle urine birrose tipiche dei popoli nord europei. Materia grigia e doppio malto. Lei era andata al bagno un attimo prima.
La distanza fra la vita ed un cervello sparso per terra misura quanto lo scalino di una rampa di scale di un bar di Kotrijk.
Durante la pausa pranzo del mio coinquilino, nella stessa via del bar dove lui si trovava per mangiare, hanno sparato a pistolettate un uomo.
Lui come sempre non si accorse di nulla. Probabilmente aveva gli auricolari del suo i-phone nelle orecchie.

Il tassista sbagliò strada però capii subito che era in buona fede.

Il silenzio non è immobilità. Dietro, il fermento.

sabato 16 maggio 2009

Allegria.

Mi sono rotto il cazzo dei fanatismi, a qualsiasi livello o sotto qualunque forma essi si manifestino. Mi sono rotto il cazzo dei pregiudizi che condizionano le persone, mi sono rotto il cazzo del banalizzare continuamente, mi sono rotto il cazzo della grossolanità e della cafonaggine politica, mi sono rotto il cazzo di fare e ricevere promesse che non verranno mai mantenute, mi sono rotto il cazzo del libertinaggio fine a sè stesso senza che esso produca arte. Mi sono rotto cazzo di essere sballottato da compagnia a compagnia e non avere mai un buon contratto o un salario decente. Mi sono rotto il cazzo di innamorarmi delle persone sbagliate e che le persone sbagliate si innamorino di me. Mi sono rotto il cazzo della ciclicità e della religiosità del concetto "coincidenze spazio-tempo". Mi sono rotto il cazzo di non avere un'idea. Mi sono rotto il cazzo di trovarmi nelle spiazzanti situazioni in cui non sai che fare. Mi sono rotto il cazzo di cominciare e ricominciare sempre daccapo e non avere mai un vero fine.
Mi sono rotto il cazzo di volere senza potere, di dire senza fare, di non far seguire un fatto concreto ad un concetto teorico. Mi sono rotto il cazzo della aleatorietà e di quelli che sono convinti di essere il detentori della Verità e considerano al resto della società una massa informe da educare.
Perlomeno cercassero un totalitarismo più di moda in questi tempi.
Quando un uomo vuole qualcosa, gli si parano innanzi due opzioni: cercare una strada o cercare una scusa (e così plagio anche il Melissari).

martedì 12 maggio 2009

Erano almeno nove anni che non mi cacciavano da un locale.

Quella sera di tanti anni fa a Perugia di fronte ai boccali di birra lo chiamarono "Utopista!". Ma diversi anni dopo sentiva che non era lui quello che si sbagliava.
Era solo questione di tempo.

martedì 5 maggio 2009

Il significato, il significante, una barista che mi parla in inglese e non conosce la Voll Damm (memo per domani).

Erano le 02.00.
La scelta fra l'attendere, come minimo, 25-30 minuti l'autobus notturno per poi passarci dentro un buon quarto d'ora o camminare una mezzoretta nel tepore rassicurante di una notte di maggio, fu per me scontata.
Impiegai meno di due minuti a trovare tutto quello di cui avevo bisogno e mi misi in cammino. Non potevo essere di umore migliore per farlo. Fischiettavo gli accordi della chitarra di Charlie Byrd e uno Stan Getz immaginario accompagnava i miei assoli.

domenica 3 maggio 2009

I partigiani in fuga a piedi dal Piemonte alla Calabria. Una Suzuki per il deserto.

Non so perchè ma le raccontai l'aneddoto di mio nonno.
Era l'anno scorso, tutta la città era pronta a vivere il mese di marzo prima di tuffarsi a capofitto nella primavera.
Mio nonno giaceva inerme nel suo letto di morte. Non era ancora giunta la sua ora ma era chiaro a tutti che ogni momento poteva essere quello buono.
Ero in attesa dell'inevitabile, tristemente in pace con l'inevitabile.
Lui alternava momenti di delirio o di sonno profondo, a sprazzi di sorprendente lucidità. Mia nonna, piegata sulle spalle dall'età, con la testa quasi a guardarsi le ginocchia, entrava di tanto in tanto nella stanza per cercare di fargli inghiottire due cucchiaiate di yougurt o per pulirli la bava. Era bellissima la devozione con la quale ancora accudiva suo marito ed io mi sentivo stringere la gola per la bellezza della genitrice di mio padre.
All'improvviso mio nonno cambiò espressione e il suo muso reso torto dalla maledetta vecchiaia, prosciugato dalla denutrizione (l'inappetenza causata da quello stato di quasi morte in cui giaceva, lo aveva privato del suo più grande piacere: mangiare), si sciolse in quello che sembrava ancora essere un sorriso e disse con il filo di voce che gli restava:
"Lia, 52 anni sono passati ma io ti amo ancora come il primo giorno".
La stupenda bellezza e la forza che possedeva questa semplice frase mi trapassò di netto i lobi cerebrali.
Lei, ascoltato il racconto comiciò a piangere. Le asciugai le lacrime, mi tenne stretta la mano con la sua e ci baciammo.
Alla fermata dell'autobus un signore anziano teneva per mano la sua signora. Su Rambla del Badal, un'altra coppia di vecchietti passeggiava sotto il sole, lui avanti e lei che lo seguiva. Arrivarono all'altezza dell'aiuola, lui la tastò con la suola della scarpa e subito dopo tornarono indietro. Lei era ancora due metri dietro il suo uomo.
Io mi tolgo la maglietta e me ne vado in terrazza con birra e sigarette. I Greatful Dead di Jerry Garcia risuonavano negli altoparlanti e il sole che c'è oggi è impagabile.
Al lavoro è stata una giornata di merda e le brutte notizie ancora mi dovevano arrivare. Ma in tutta onestà, non è qualcosa che mi preoccupa realmente. Ho altre cose per la testa ora.