venerdì 16 dicembre 2011

Trenta secondi e cinquanta millimetri.





New York, New York. 

Meraviglia e stupore, incredulità e cuore che scoppia nel petto travolto dalle emozioni che non conoscono fine in questa città.
New York, città delle casualità, che sembrano non venire mai sole ne per caso ma inseguendo il tracciato dei tanti puntini in sospeso che abbiam disseminato lungo le nostre vite. Tralascerò la forma e scriverò con la forza del ricordo sorprendente, per mantenerlo vivo. Lo farò fino a quando la mia mano non farà male e fino a quando non sarò diventato cieco dopo aver passato in rassegna quasi ottocento foto che selezionerò per dare ancora più forza alle parole. Chiamatelo anche foto reportage ma quel che mi interessa è poter solo riuscire a trasmettere quel senso di bellezza non solo estetica, che ha anche la sua importanza, ma soprattutto emotiva, un senso di benessere armonioso dovuto alle persone meravigliose incontrate e le storie vissute.  Storie rocambolesche da sembrare inventate, coincidenze misteriose, emozioni che si incendiano nel petto fino a fare male e traboccano dalla gola fino quasi a strangolarti in una pioggia estatica.
Questa è stata per me New York. 
Ma la cosa che ha contraddistinto il "viaggio", è stato un senso di amore e armonia che mi ha pervaso continuamente, dalle lacrime che versai a Central Park solamente per aver visto un raggio di sole riflettersi sulle foglie gialle di un albero in riva al laghetto, fino al calore degli esseri umani qui incontrati.  C'è tanto da raccontare, incomincio con il classico sfondo del Brooklyn's Bridge, dove io e Lorenzo, ognuno in preda al proprio disagio creativo, ce ne andammo a scrivere con la luce, in una uggiosa serata dove chiacchierammo a lungo di "pigrizia consapevole", "intelligenza laterale", "significati e significanti". 
Entrambi vivi e soprattutto CONSAPEVOLI di esserlo.
"Saggio è colui che riesce ad essere bambino due volte"
Eraclito (ma avrebbero potuto diro tranquillamente anche Deleuze o Leskov).





Il bianco ed il nero, ma perchè?
Prima di tutto, mi piace. Mi esalta, è senza ombra di dubbio (ma questa è una opinione personale e credo che le opinioni personali lascino il tempo che trovano, pur essendo affascinanti ed in alcuni casi divertenti!) più elegante, più bello da vedere. Il bianco e nero ha stile, ha carattere, è affascinante perchè lascia più immaginare che vedere. Da più spazio alla creatività pur mantenendo un tono distaccato, in alcuni casi presuntuoso e pretenzioso. Sembra voler descrivere la realtà con molta più semplicità di come lo faccia la foto a colori ma non illudetevi! Si sta prendendo gioco di voi! Il bianco e nero è un arrogante ma adorabile brontolone e finirete per volergli bene.
Se fosse una figura retorica sarebbe l'understatement.
Poi vi è una componente teorico filosofica; fondamentamente, il colore, non esiste. Il colore è una illusione disegnata dalla luce, il colore è come la coscienza, ossia un pittore impazzito che fa un pò quel che gli pare con la tavolozza, facendo apparire come reale solo ciò che a lui sembra reale. Il colore ride alle nostre spalle quando lo apprezziamo, come un gatto opportunista. Il colore fa apparire vero ciò che non lo è, il colore è un imbroglione, almeno secondo gli schemi logici. E quello he vogliamo fare io e Lorenzo, è rompere le logiche. Relative e fuorvianti. Quindi forse, alla fine, magari il colore ha ragione lui, la sa più lunga. Chissà.
Poi c'è un motivo puramente emulativo.
Con il mio obiettivo di 50 mm mi sentivo (o mi piaceva sentirmi) come un Cartier Bresson alla ricerca del momento perfetto da immortalare. Si, credo che a volte, un pò di fanatismo ben dosato non sia poi totalmente negativo.





Le finestre dei grattacieli, piccionaie dove le persone si affannano per produrre beni spesso innecessari, filtrate attraverso trenta secondi di esposizione, diventavano una volta entrate nel diaframma, delle stelle luminose, tutte polari, tutte ansiose di indicare un cammino qualsiasi ma parimenti valido e sicuro.  Il ferro del ponte, vivido e lucido, le scie continue e lineari dei ferry, il cielo oscuro della sera e la luce perfetta dovuta anche ad una patina di nebbia fine ed una pioggerella lieve, avevano il potere di farmi appassionare nuovamente alla vita e agli esseri umani, cose queste dalle quale mi ero autocensurato da diverso tempo, incapace di comprenderle(gli) e comprendermi. Sentii di nuovo la curiosità effervescente scorrere copiosa nei canali della mia testa e mi sembrò di essere tornato a quelle estati della mia fanciullezza, quando scendevo giù per le scale di casa con il pallone e correvo con la mia bicicetta dagli amici per giocare tutto il pomeriggio.
Questa volta il pallone era la mia macchina fotografica e la bicicletta, il mezzo cioè per raggiungere fisicamente la felicità, era il meraviglioso contorno che mi circondava, silenzioso, discreto ma potente, dotato di grandi doti oratorie nonostante, paradossalmente, il suo silenzio.
E la felicità, la tanto agognata felicità, non mi sembrava più mera illusione, ne la fine di un dolore o la fine di un desiderio, ma qualcosa di reale e potente, da godere consapevomente e pienamente nell'attimo in cui la si sente, quell'attimo che svanisce ne momento stesso in cui esiste, quel punto di congiunzione che unisce il passato ed il futuro, quel "cayros" che diventa "ayon" o tempo eterno, fottendosene di "chronos" con i suoi limiti, le sue illusioni e il dolore che causa in tutti noi.
Non stavo facendo altro se non vivere quell'attimo, senza curarmi di quello che sarebbe venuto subito dopo o quello cha avevo appena terminato di vivere.
Fu avvolto da queste emozioni che capii profondamente, per la prima volta, il Carpe Diem o gli insegnamenti di Gautama.






to be continued...

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