martedì 20 dicembre 2011

Kocham Cię/A funny afternoon on a Bedford's roof top.






Lasciarsi attraversare e vivere le cose più impensabili in una tranquilla e soleggiata giornata a NYC. Come ritrovarsi in cima ad un tetto dalle parti di Bedford avenue, quartiere di hipsters, artisti o semplicemente di gente che ama mettersi in mostra, con una splendida modella di origini polacche a fare foto. Tutto è nato per il puro e semplice divertimento, accompagnato da una dolce vanità. Bellissima e fotogenica, abbiamo cominciato il photoshooting entrambi un pò imbarazzati, prima di entrare in una confidenza sempre più aperta, mentre io cercavo, con il mio fedele obiettivo da 50mm, di essere "invisibile".








Sveglia alle 8.00, colazione abbondante all'americana, tre uova, bacon, pane tostato, burro e succo d'arancia. Un caffè ed un saluto alle simpatiche cameriere messicane del bar di fronte all'ostello e via verso nuove avventure. La sera precedente era stata la notte delle magiche casualità che regolano l'Universo e oggi i piani erano di lasciar fare al destino il suo corso, cercando solo di immaginare quali storie sarebbero potute capitarci. Il quartiere dove vivevamo era una zona residenziale, case basse e strade parallele, drugstores, e supermercati che vendevano solo prodotti XXL, ristorantini luridi dove ogni mattina bisognava scansare il capello della cuoca dalla frittata, che puntualmente, maniacalmente, cadeva nel mio piatto. Un quartiere interamente abitato da gente di colore e qualche sudamericano; io e Lorenzo eravamo gli unici "etnicamente differenti". Mi piaceva tanto essere considerato la minoranza. Dopo i primi giorni in cui i residenti ci guardavano con occhiate di sospetto, occhi intriganti che studiavano i nostri gesti e movimenti, ci rendemmo conto di esser stati "accettati" dalla comunità quando tutti i vicini cominciavano a salutarci, dal proprietario greco del ristorante di fiducia, ai due signori che ogni giorno giocavano a domino nel cortiletto della propria casa, fino a Kenny, il barbiere più perfezionista al quale abbia mai affidato i miei capelli. Poi via di corsa in metro fino a Bedford, uno slalom fra i venditori ambulanti di libri, vestiti e opere d'arte pop a volte splendide, bistrot alla parigina, negozi di vintage dove comprare elegantissimi cappotti a soli 20 dollari, quando, per caso, mentre fotografavo la vetrina di un negozio chiamato fellinianamente Amarcord, sentiamo una voce gridare il nome di Lorenzo.
Ci giriamo, erano Roza e Zuza. Due sorrisi ammalianti, illuminati dal sole che avevano di fronte, irradiarono il nostro pomeriggio bighellonante.





 

Fare le foto è come fare all'amore; nel secondo caso, se non sei in armonia con il tuo uccello e con la tua donna, otterrai solo scarsi risultati; identico discorso per la fotografia su soggetti. Sostituite però al pene la macchina fotografica. Almeno così credo, non essendo fotografo "professionista".
Di fatto con Roza si venne a creare una bella complicità. Dopo aver superato l'imbarazzo iniziale, dovuto all'avvenenza di lei e al fatto che non avessi la più pallida idea di cosa fare e da dove cominciare, ho tirato fuori una delle mie "riconosciutissime doti", quella cioè di improvvisare cazzate fingendo una apparente sicurezza nonostante non abbia la più pallida idea sugli argomenti, contesti o situazioni. Presi la camera e cominciai a scattare, abbastanza di fretta perchè il sole era a punto di tramontare e non avevo con me luci artificiali. Tutto scivolò via armoniosamente, incominciammo a giocare con gli sguardi e con i gesti, inseguendoci in un acchiapparello digitale. Presi confidenza e lei si sciolse in libertà.
E tutto fu, meravigliosamente naturale.








Thank you Roza.

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