mercoledì 7 luglio 2010

Il tempo passa dice l'uomo, l'uomo passa, dice il tempo.




Da dove cominciare. Non lo so. l'incipit é sempre la parte piú importante. Ma non sono bravo con gli incipit e non sono neanche bravo a fare letteratura. Poi quel che spesso accade é che ció che ho in mente, non si traduce mai sul foglio bianco in parole che corrispondano, almeno un pó, al mio stato d'animo. Non ce la faró mai forse. Ho appena scritto cose che non volevo. Volevo scriverne delle altre.
Scrivere. Cosa vorrá mai dire. Scrivere, potró al massimo redigere un diario di bordo con gli aneddoti della mia vita che non interessano nessuno, ma non si tradurranno mai questi pensieri in dardi infuocati che infiammano le anime di chi legge, cosí come capita a me quando mi trovo di fronte alla grande letteratura. Dardi infuocati, che banale similitudine di merda. Ma cosa é questa grande letteratura? Non il linguaggio ampolloso, non l'intellettualismo sfoggiato per puro egocentrismo.
La letteratura é quel vecchietto che mangiava, nel ristorante economico a due isolati da casa, con la bocca tutta storta perché ormai quasi sdentato, che somigliava in maniera tragica ai miei due nonni morti. Ho pianto al solo vederlo. Mi sentivo stupido. Io, solo nel ristorante, con il mio vino economico e il mio piatto di patate, che lagrimavo goccioloni di una incommensurabile dolcezza, che scomparivano sui miei pantaloni neri. "Ti voglio bene" dissi a mia nonna al telefono, prima di non aver mai avuto piú la possibilitá di dirglielo a voce. la letteratura sono tutti gli ubriaconi poetici che affollavano il bar di Rambla de Badal. Ognuno con il suo bicchiere di rhum o vino fin dalla mattina presto. La letteratura é il bar sotto casa dove alle sei di mattina non c'é nessuno che beve caffé. Il bancone del bar, un lungo specchio dove si rifletteva il giallo dei caraffoni di birra che copiosi scendevano negli stomaci bucherellati dei tanti senza dio che gridavano e affollavano la caffetteria. Tutto avveniva sotto gli occhi, coperti da grossi occhiali, di quella vedova insonne che ogni mattina si siede al solito posto e piega i tovaglioli di carta. L'ultima cosa che le resta da fare nella vita, piegare tovaglioli di carta in un bar di seconda categoria pieno di ubriaconi e ragazzetti che sniffano coca nel bagno di servizio. Letteratura é quel vecchio pakistano che mi camminava di fianco mentre mi dirigevo alla questura per prendere il mio passaporto e che, guardandomi minaccioso, mi gridó "Perché voi italiani siete dei fascisti?". La letteratura é capire che perdiamo troppo tempo pensando al nostro egocentrico Io e non al Se imperituro e infinito. La letteratura é l'uomo che cade dalle scale e ad ogni gradino in cui sbatte la testa si fa una risata perché vede Dio. Perché il dolore ci riporta all'unica nostra veritá e benedizione, la coscienza della mortalitá. Una guarigione dai bisogno impellente di desiderare, questo ci vorrebbe. La morte e le leggende di Samarcanda. La letteratura é una mattina, quando l'alba imperversa e notte e giorno si fondono, dimostrando che la veritá non risiede nell'assolutezza del bene e del male ma dalla necessaria convivenza delle due cose, che poi sono una. Non esisterebbe il male senza il bene. Quel momento fantastico in cui non si capisce bene se é giorno o notte. Gli antichi Tibetani pensavano fosse un segnale che i saggi eremiti che vivevano sulle montagne inviavano a noi poveri stolti per farci capire che non c'é niente che esista senza il suo contrario.
Letteratura é Italo Calvino, "Sporgendosi dalla costa scoscesa", "Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna". É lui che mi fa capire che non ce la posso fare o forse si. Ma chi se ne frega. Sto facendo quello che si prospetta essere un lungo viaggio dentro me stesso. E mi sta piacendo. "Io chi sono?" forse questa domanda non avrá mai risposta o forse si ma c'é molta piú serenitá in me rispetto a quache mese fa. Ho imboccato il sentiero che sento essere quello giusto.
Quello che ho appena scritto non si avvicina lontanamente a ció che avevo in mente al principio.
Forse cerco solo il conforto, come ho sempre fatto. Gioco a fare la vittima pur sapendo di essere il carnefice.

1 commento:

  1. Claudio, Claudio...
    La última vez que supe de ti estabas en Ibiza, y al final no pude despedirme antes de empezar mi aventura. Desde entonces, y aunque no te lo creas, te he pensado un montón! Me preguntaba si te tatuaste al fin, si habrías leído ya aquel librp de Bolaños, si seguirías frecuentando la misma cantina en la que te agenciaste mi periódico... Y querría haberte contado que al fin vi Copying Beethoven, y que lo hice a tu salud, pero aunque te encontré por aquí hace tiempo, no supe dar con el momento adecuado para poner tanto pensamiento junto. (y fíjate ahora!)
    Me dejaste una pista en un sms antes de irme, y un frío y silencioso día en Dinamarca se me ocurrió buscarte :) Espero que no te incomode...

    Pronto te contaré le resto: prepara una tarde-noche y tus apuntes de este último año, que yo pongo las cervezas!

    Baci e abbracci!

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