lunedì 23 novembre 2009

Mia nonna è una bella donna.

Una paralisi facciale avvenuta poco dopo la morte del marito, le ha deturpato il viso ancora liscio e morbido nonostante gli ottantadue anni suonati. La bocca é tutta storta da un lato, l'occhio é rimasto semichiuso. Non ha perso il suo sguardo da bambina, ma la sua bellezza estetica é diventata ormai un antico ricordo.

"Ancora posso fumare e mangiare" dice lei soddisfatta.

Sta soffrendo e lo so, ma non per la sua bocca o per il suo viso rovinato, di quello so che non gliene frega niente. Quel suo muso torto no é altro che una rappresentazione, un atto metaforico che l'incosciente ha voluto far precipitare sul presuntuoso e razionale cosciente. É un atto, un atto simbolico, poetico se vogliamo di rappresentazione delle nostre sofferenze familiari. Dei limiti emotivi che hanno spinto una famiglia a vivere nascondendo i propri sentimenti. Un atto metaforico per avvisare i nostri io repressi, per informarli di quale possa essere il futuro se non decidiamo di vivere nel presente. Uscire dai circoi viziosi dove crediamo che viva il nostro io, e incontrarsi con sé stessi. Senza paura.

Era la bocca schifata dei miei nonni, morti senza vedere lo sfacelo e l'inutilitá dei loro sforzi. Uomini peró morti degni, veri uomini.

La faccia di mia nonna, la metá non paralizzata, é ancora bella come un tempo; é la parte buona, quella ancora rimasta intatta, l'occhio vivo, la luce della pelle.
Sembra una maschera greca antica, quelle che si usavano nei teatri dell'epoca. Una metá che rappresenta la bruttezza della vita vissuta senza amore e senza arte e senza il riconoscimento di sé stessi. Dall'altro tutto il suo opposto.
"La gioventü é sprecata nei giovani" diceva Wilde.
Non sempre, dico io.

Dietro ogni grande uomo, c'é sempre una grande donna;
Per il tuo modo speciale di capirmi,
grazie Mari

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