giovedì 12 maggio 2011

L'identità, il fraintendimento dell'essere con sé stesso.

Chino la testa sul mio quaderno, stringo una penna nella mano. È tanto tempo che ormai non scrivo più niente. Il nulla più desolante si era impadronito di me. Vittima della ragione, sempre insufficiente e causa solo di deliri e dolori. Vittima dell'ego insulso e mondano, del ruolo, della necessità di associarmi sempre a quello che i contesti mi richiedevano. La vita è una puttana ma l'ego è truffaldino.
"Sono" giornalista, "sono" architetto, "sono" avvocato. Ma avete mai pensato alla mistificazione che si nasconde dietro l'utilizzo della parola ESSERE. Cosa sei, cosa siamo? Sei un amministratore delegato, un medico? Spogliato di queste maschere cosa sei? L'essere è il divenire delle nostre contraddizioni, mentre il mio era solo un tentativo vano di cercare la coerenza quando l'unica cosa che abbia valore è l'incoerenza.

Il vuoto che si era impadronito di me e spogliato di ogni sentimento, anche del semplice emozionarmi con una mattina soleggiata di maggio, era così angustiante (ma poi rivelatosi fittizio) in quanto una derivazione malata del mio egoismo. Mi sono affacciato tante volte alla porta di me stesso in questi anni ma mai nessuno si era preoccupato di aprirmi. O di rispondere alle mie urla. Ma quando il propietario di casa ha deciso di farmi entrare nel salotto buono delle mie personalità, ho trovato una sala senza mobili. Perchè mi stava ospitando nella stanza dove fino ad allora aveva dimorato la mia coscienza ed auto coscienza. La stanza di un ribelle di lusso, di un libero pensatore senza disciplina ma soprattutto uno schiavo dell'identità. Uno schiavo delle apparenze, un presunto umanista che non si preoccupava di ascoltare gli umani. Uno schiavo della proiezioni e delle auto proiezioni, imprigionato non dalle catene ma dalle vertigini del vuoto e dell'illusione. Ho fallito tante volte nell'identificarmi, o nel tentativo di essere identificato, ho dormito per anni convinto di essere il depositario di una filantopica e seducente umanità. Ma l'errore stava nell' aver sempre ragionato in termini di egoismo e non di consapevolezza. Come guidare in autostrada con la terza.
La consapevolezza. Essere padroni di se stessi e riconoscere il Sé, non l'Io, riconoscere in questo eterno ritorno che noi "siamo", "esistiamo" solo fuori dal campo di concentramento delle limitazioni, sociali e soprattutto personali. Niente a che vedere con Sartre, solo una illuminazione che mi permette di trascendere dall'illusione dello status, del ruolo, dell'io rappresentante ed effimero, affamato ed avido. Vivere pienamente ogni istante senza frenesie. Essere nell'attimo. L'attimo che svanisce, l'attimo eterno. Consapevoli d'averlo vissuto.
Scusate miei amici, scusate gente tutta, spero che possiate perdonare il mio sonno. Mi sento molto più in armonia con i miei malesseri. Adesso capisco ancora meglio la frase di Whitman che mette sullo stesso piano le costellazioni, l'uomo e una foglia d'erba.
Fuori c'è una deliziosa pioggia primaverile.
Esco senza ombrello e le gocce d'acqua mi scendono sulla nuca, provocando leggeri sussulti e contrazioni dello sterno. Il concerto di bossanova sarà già cominciato o forse non è mai finito. Le chitarre suonano dall'alba dell'eternità e non cesseranno ora. Cammino e vedo la gente affannarsi per cercare un riparo ma io mi sento pioggia in questo momento. Non vivo nel tempo cronologico, non mi appartiene più.
Ve lo cedo volentieri il vostro tempo a voi gente morta, anime sospese nell'eterno ritorno, fratelli di inquietudine e compagni di sbronze.

Non mi appartiene più.

lunedì 9 maggio 2011

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Eugenio Montale



Ah l'uomo che se ne va sicuro,