mercoledì 25 gennaio 2012

Two thousand and twelve purposes.

Farò quest'anno dei progressi nel mio processo di auto conoscenza (Progredire! Come se questa parola racchiudesse, già di per sé, la soluzione ai problemi contingenti. Come se la metafora dell'andare avanti rappresentasse anche il percorso che potrebbe condurre verso qualcosa di migliore. Come se decidere di fermarsi e ballare, lí, nel mezzo del cammino, o tornare indietro sui propri passi sbagliati, non fossero  decisioni altrettanto utili o dignitose)? Riuscirò ad essere più coerente o perlomeno non così tanto in contraddizione con me stesso? Coerente verso chi o verso cosa, a parte me stesso o la proiezione del mio io? Sarò compassionevole? Avrò, semplicemente, della passione? Guarirò dai miei tormenti o saranno loro a decidere per me e le mie azioni? Smetterò di avere delle paure o finalmente comicerò ad averne delle vere? Paura vera e non le scarse imitazioni incontrate finora. O forse i tormenti sono l'anticamera della letizia? O viceversa? E se la gioia ed il dolore avessero un senso solo in funzione della propria apparente, opposta funzione? Riuscirò a riconoscere o perlomeno a scorgere, le mie incorenze? Avrò questo piacere? O questa tortura? Riuscirò finalmente a credere che ce la posso fare? A fare cosa? A vivere umanamente?  A vivere secondo "intelletto", "ragione" o "onestà?", A credere in me ed evidenziarne, sempre in me stesso, le caratteristiche positive? O colpevolizzarne le negative? Ma quali caratteristiche, che vuol dire positive e negative e, soprattutto, di quale dei tanti, possibili me stesso stiamo parlando?

"Positivo", o "negativo", per chi o rispetto a cosa, secondo quali "discriminanti" o processi di selezione passivi, scremati da quale cultura "dominante"? Ho il diritto alla felicità solo perchè ho sentito sotto la pelle, nelle ossa, il fastidioso punzecchiare dell' "infelicità" (dolce, propositiva, ottimista, costruttiva, infelicità)? Quello che chiamiamo dolore non potrebbe essere semplicemente ciò che legittima il suo contrario?

Riuscirò finalmente a fare quello che voglio ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo o semplicemente farò quello che gli altri si aspettano da me e dalla maschera sociale predominante in quel dato momento della mia esistenza? Vivrò consapevole degi attimi? Quelli che svaniscono ancora prima di essere razionalizzati? Ma cosa, veramente voglio? E, soprattutto, la mera volontà, quella che universalmente è riconosciuta come, forse, libero arbitrio, non potrebbe essere considerata come un atto (o un tentativo) di annullamento del "Sè"? O ne è forse solo l'immagine riflessa nello specchio? O forse è la non-volontà ad annichilire? Ma, ancora più importante, quale Sè? La p(P)syche? L'Anima? Un Sè esterno, interno, permanente o impermanente?

Riuscirò a portare a termine un progetto? O semplicemente avrò mai un'idea? Un idea vera! O passerò il resto della mia attuale esistenza cosciente, senza nemmeno mai avvicinarmi all'approssimazione di una sola, cazzo di idea? Ho delle opinioni personali? Ma le opinioni hanno alcuna utiità a parte renderci schiave di esse?

Sarò ancora uno spettatore della mia vita o vincerò la paura e la pigrizia e ne sarò parte attiva? Ma che vuol dire attivo, non influisco già, forse, sull'ecosistema? O non potrebbe essere attiva semplicemente la mia contemplazione? Ma che vuol dire essere parte attva? Avere un ruolo? Una scusa per raccontare come in verita non ci si conosce? Avere soldi, donne, influenza, potere? O esser parte attiva vuol dire avere un pensiero, un cuore capace di ospitare qualche emozione? Vesto dunque i panni di un altro? Ma questi miei timori, non sono già, diciamo, come la conferma di una mia, per così dire, attività? O forse ho solo paura di aver esaurito le paure e me ne creo delle nuove? Ho timore all'esistenza o mi ubriaco di lei? Riuscirò a farne parte e se si, in che modo? Ne amerò o perlomeno mi abituerò alle sue incongruenze? Potrò mai accettare che uccidere è come generare? O non lo farò mai per i miei timori e per la mia atavica propensione a rimandare i problemi e le decisioni? O perchè mi sento come un re solo quando siedo sul trono della mia pigrizia? O se fosse la pigrizia ad allontanare dagli infarti?

Continuerò ancora a camminare lungo il sottile margine che separa l'amore e l'odio, il bene ed il male? Continuerò a credere che l'amore non avrebbe senso senza l'odio? Vivrò ancora nel dormiveglia lamentandomi dele mie mancanze o farò dei miei difetti la bandiera del mio Io o meglio la mia personale concezione di Io.

Concezione che spesso oscilla fra la pluripersonalità e l'annulamento del verbo.

Continuando a galleggiare fra significati e significanti, fra parole ed azioni, fra le presunte logiche e i loro contrari. Parole attive ed azioni descritte, narrate, raccontate.

Troverò un equilibrio fra le mie folli illusioni.

Potrei rifugiarmi nell'attraente mondo dei sensi. E benedico che questa possibilità esista. Fittizio, frivolo, temporaneo ma apparentemente concreto. Ma concreto perchè vivido? non è forse vivida l'illiusione, il fanatismo, la follia? Non sono altrettanto reali? Nascondersi dietro gli orgasmi, per quanto piacevole, mi collegherà verso l'assoluto o saranno semplici scopate? O l'orgasmo è l'assoluto? Così come anche il non orgasmo, la disfunzione erettile dei pre e post concetti. E anche dei    concetti in divenire.
L' assoluto, che cazzata. Che vorrebbe significare senza il relativo?
Io solo rivoglio il mio sacrosanto diritto alla poesia. Il mio diritto ad innamorarmi. L'uomo non solamente beve birra in bottiglia, non tutte le grandi donne sono madri.
Ma tutto ciò ha importanza?
No, perchè lieto sarei anche sul sentiero di un nido di ragni.


giovedì 5 gennaio 2012

Coney Island, Baby.





Non inseguite il passato e non perdetevi nel futuro. Il passato non è più e il futuro non è ancora arrivato.




Guardando in profondità nella vita cosi com'è, proprio QUI e ORA, il praticante dimora libero e saldo. Applichiamoci oggi, domani sarà troppo tardi.



La morte giunge di sorpresa, chi mai viene a patti con essa? Il saggio chiama chi dimora in consapevolezza di notte e di giorno:















Colui che conosce la migliore delle solitudini.

Guatama Siddharta